
Celebrazioni della Settimana Santa
26/03/2021
Domenica in Albis 100 anni dopo: aperto l’Anno Santo per il Centenario della Basilica Santuario di Sant’Antonio
19/04/2021Diceva Gesù ai suoi discepoli – «La messe è molta, ma gli operai sono pochi: Pregate dunque il Padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe» (Mt 9,37-38; Lc 10,2)
Sono queste le parole che si leggono nel Vangelo secondo Matteo e nel Vangelo secondo Luca.
Non a caso le statue di bronzo, poste nelle nicchie accanto l’ingresso della Basilica Antoniana di Messina, rappresentano i santi Luca e Matteo.
E non a caso i dipinti di Rosario Spagnoli nella copertura della navata centrale, all’interno della Basilica, raffigurano Gesù che affida agli Apostoli il comando della preghiera vocazionale.
Lo spirito del Rogate ha ispirato la vita pastorale di Sant’Annibale M. Di Francia nel percorso di carità verso i poveri d’animo, che avessero smarrito la fede, verso i bisognosi di un pasto che sedasse la fame, e gli orfani che avessero perduto il “bene inestimabile della famiglia”.
Il 13 giugno 1896 Padre Annibale inviava ai “cattolici messinesi” un libricino dove si leggeva:
«Per come a tutti è noto a Messina, io tengo da più anni due Orfanotrofi, uno maschile ed uno femminile […] Alcuno mi domanda: come fate a mantenere tanti ragazzi ricoverati? Quale rendita ha l’Istituto?
L’Istituto non ha altre rendite se non quelle che provengono dai lavori degli orfanelli e dalla pubblica carità […]».
E allora “quale Benefattore insigne” della Rogazione evangelica e dei poveri del Cuore di Gesù se non Sant’Antonio di Padova poteva sostenere la missione del Canonico del Quartiere Avignone?
Perché tutt’oggi la Basilica Santuario di Sant’Antonio di Padova rimane un luogo di conforto nei disagi dell’anima e del corpo?
Il Santuario Sant’Antonio conta cento anni – dal 03 aprile 1921 al 03 aprile 2021 – di carità spirituale e materiale in soccorso di una “turba di poveri veramente bisognosi”, che vengono ai miei Orfanotrofi da ogni parte di Messina, e alle volte morenti di fame!” – Padre Annibale scriveva.
Non c’è pane che sazia la fame senza la fede che riempia il cuore.
E’ il “Pane di S. Antonio” che unisce i fedeli del presente ai fedeli del passato, perché la devozione non teme i limiti del tempo.
Padre Annibale aggiungeva nel libricino:
«[…] Ora io propongo a tutti i buoni cattolici che ogni qual volta hanno bisogno di qualche grazia, o spirituale o temporale, si rivolgano a S. Antonio di Padova, che è chiamato il Santo dei Miracoli, e gli promettano una quantità di pane, quanto ognuno crede, per gli orfanelli e per i poveri, che io devo alimentare.»
Sant’Antonio scriveva: «La carità è l’anima della fede, la rende viva; senza l’amore, la fede muore». (Sermones Dominicales et Festivi II).
E raccomandava di considerare la preghiera come un dialogo interiore con Dio, confidando i propri bisogni e poi ringraziarlo.
Il “Pane di S. Antonio” è tuttora strumento di traduzione dei propri disagi nel rivolgersi al Santo dei Miracoli, che dimora laddove un umile prete invocava il Crocifisso e chiedeva elemosine ai buoni cattolici.
Forse che la disuguaglianza economica del Terzo Millennio non abbia aumentato i bisognosi, a tal punto da chiedere ai ricchi di farsi amici dei poveri?
La vita pastorale di Sant’Annibale fu guidata dalla parola taumaturgica di Sant’Antonio di Padova, tutte le volte che i poveri sedevano alla Mensa del Quartiere Avignone, come dame e marchesi di alto rango.
Tutte le volte che metteva in pratica gli insegnamenti di Sant’Antonio, che così predicava: «O ricchi fatevi amici… i poveri, accoglieteli nelle vostre case: saranno poi essi, i poveri, ad accogliervi negli eterni tabernacoli, dove c’è la bellezza della pace, la fiducia della sicurezza, e l’opulenta quiete dell’eterna sazietà».
Non è forse questo il messaggio da percepire ancora attuale, nel guardare i bisognosi recarsi alla Mensa S. Antonio?
In particolare oggi, quando il “Pane di S. Antonio” è diventato strumento di riconciliazione dell’uno verso l’altro, quasi cercando di riequilibrare i posti a sedere alla Mensa di Gesù, nel segno di un’economia che possa restituire valore a ciascuna persona umana.